tratto da:
Percorsi Yoga – Gennaio 2011
Quaderni di yoga – Associazione Nazionale Insegnanti di Yoga (YANI)
Intervista di Emina Cevro Vukovic
“Vuoi dire qualcosa sulle posizioni capovolte?”
La domanda arriva da Emina, durante una pausa del convegno della YANI a Rimini, si aggira gentile cercando spunti per un articolo e quando si rivolge a me rimango per un attimo stupita. Ci sediamo, e dalla mia memoria riaffiorano, con la forza di una emozione appena vissuta, i ricordi legati alla mia esperienza di “capovolta”.
Venezia, la città magica, sollevata, appoggiata sulle acque, ma anche la città dove non occorre guidare. Li mi ero rifugiata dopo un gravissimo incidente automobilistico .Era il 1988, la macchina uscì di strada e mi ritrovai con molte fratture, ma tra tutte una in particolare, la quinta vertebra cervicale. Poteva significare paralisi.
Nei dubbi, nel buio della paura, c’era quello che lo yoga mi aveva insegnato: ascolto e fede.
Decisi di non farmi operare, di entrare nell’ attesa della guarigione.
Tante intuizioni furono la guida in quei mesi, si venne creando un contatto diverso con me , con il mio corpo, con il valore della vita.
Venezia, lì lentamente mi ripresi, cose improbabili risultarono semplici: trovare casa, un lavoro.
Ma … volevo ricominciare a praticare yoga. In realtà non avevo mai smesso, ma ricominciare significava aver superato la malattia.
Quel momento arrivò, un corso per insegnanti, metodo Iyengar, il maestro Radames Silvestri.
Era un tipo di Yoga inconsueto per me, avevo una preparazione diversa, ma mi sono sempre piaciute le sfide, le novità, le possibilità di sperimentare, senza limitare i propri orizzonti.
Al primo incontro gli raccontai dell’ incidente, lui mi guardò sorridendo e non disse nulla.
Ci trovavamo in una grande palestra a San Giobbe, tante persone, livelli diversi di preparazione, un grande laboratorio.
Ero divertita e felice, mi sentivo di nuovo a casa.
Fu strano ed avvincente riprovare āsana già note, con una consapevolezza diversa, ritrovare un certo linguaggio, un modo di stare con gli altri, e…dopo un po’ di incontri venne il pomeriggio delle “posizioni capovolte”, e della più significativa fra queste: Śīrṣa-Āsana.
Come a ritrovarmi scolaretta, mi misi in fondo alla grande sala, alleandomi con quelle due – tre persone che per vari motivi trovavano Śīrṣa-Āsana difficile o imbarazzante.
La sala era molto grande, forse Radames non avrebbe fatto in tempo ad arrivare fino a lì.
Nemmeno il caso di provare, simulavamo un finto impegno e sbirciavamo, contenti ad ogni quesito che lo fermasse a controllare, a consigliare. Mancava poco alla fine delle tre ore previste, c’era da sperare per il meglio. Invece (e per fortuna) eccolo accanto. Con una mossa repentina un mio vicino mi passò dietro, non davanti, la cosa avrebbe fatto gioire chiunque in coda, ma non me: ero da ultima diventata penultima, sembrava proprio non esserci scampo.
Nel frattempo la mia mente aveva, nel turbinio delle vṛtti,elaborato ogni sorta di resistenza e dubbio.
“Maestro, si ricorda vero dell’incidente, non posso fare quest’ āsana, è pericolosa e poi…”.
La risposta fu dolce e ferma: “Non pensare, fai”.
Gli chiesi:”Ma lei starà vicino a me?”
“ Si”, rispose.
Ancora non so come, ma ci riuscii, le gambe salirono leggere, allineate al busto, nessun peso sul collo, sulla testa.
Fu un’emozione enorme. Ancora ora mentre scrivo la provo.
In un attimo capii che “ la paura è un pensiero, e a questo pensiero non dobbiamo lasciare troppo spazio”, e che se la mente è libera, l’emozione è libera e il corpo risponde con amore.
Quante volte mi ero soffermata a riflettere sul secondo sūtra di Patañjali “Yogaś citta-vṛitti-nirodhaḥ”1; ma restavano parole, importanti, con una vibrazione forte, ma parole.
Ecco che un intuizione trasformò in lampo dentro di me le parole in vissuto profondo.
Emina mi convinse a scrivere, a raccontare una storia che fin’ora avevo condiviso con poche persone.
E scrivendo si rinnovano anche altre intuizioni, arrivate da un testo, da un āsana, da uno stato di assorbimento meditativo e dalle infinite prove della vita.
Ma quell’esperienza… e se fosse come rinascere, un guardare le cose da un altro punto di vista…
Per me la “posizione capovolta” rimane quella che ho vissuto a Venezia in un pomeriggio autunnale quando osando ho sentito la gioia della libertà.